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  • Immagine del redattoreAlessandro Borgonovo

"Tele Smart Home" (07/08/2020)

Caro Lettore, dopo un periodo di assenza, eccomi qui di nuovo a trattare un argomento che è strettamente una conseguenza non sanitaria del COVID. Mi riferisco alla questione Tele-Smart-Home. No, non è un nuovo canale di televendite del digitale terrestre, ma bensì l’ormai diventato famoso lavoro da casa che molti hanno sperimentato durante il lockdown e che continuano ad applicare. Probabilmente è stata una delle pochissime cose positive che il COVID-19 ci ha regalato. A mio avviso per alcuni è stata una vera “rivoluzione digitale” e per certi versi paragonabile all’introduzione della telefonia mobile. A fronte di una serie (infinita) di problematiche tecniche evidenziate subito all’inizio del lockdown, oggi lo smart-worker si è ormai abituato a questa vita che indubbiamente presenta dei vantaggi. Molte aziende che erano già predisposte al lavoro da remoto, non hanno subito grossi contraccolpi: ma quelle che invece si sono ritrovate costrette dalla sera alla mattina ad un adeguamento tecnologico e di mentalità inaspettato e forzato, hanno sofferto non poco. Lo posso dire con certezza in quanto io mi occupo proprio di informatica e reti; prendendo spunto (era da un po’ che non lo facevo) da un noto film di fantascienza direi che: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi...”. Ma cosa significa realmente lavorare da casa? Perché tutti insistono a chiamarlo smart-working? Ovviamente gli inglesismi si sprecano moltissimo in ambito lavorativo, soprattutto in alcune aziende; in realtà per restare in ambito nazionale, le corrette definizioni per alcuni sono “lavoro agile” o “lavoro flessibile” (lo so sono pessime). Ma andiamo con ordine.

Ormai il lavoro da casa è entrano nel DNA di molti lavoratori: non è infrequente andando in giro sentire persone che usano frasi ormai banali: “Ah si sono in Smart da maggio”, quando in molti casi, fino al giorno prima per loro la parola Smart identificava esclusivamente la piccola utilitaria da città. Ma si sa, l’evoluzione non ha limiti così come la capacità di adattamento ed apprendimento che contraddistingue la nostra specie. Caro Lettore, ti ricordo che è solo grazie allo stato di emergenza prorogato fino al 15 ottobre che lo smart-working è ancora così utilizzato e diffuso. Probabilmente dopo questa data, qualora non venisse di nuovo prorogato, le aziende che già ne usufruivano lo estenderanno: quelle che invece lo hanno introdotto esclusivamente per non interrompere il proprio business, se non adegueranno i propri contratti dovranno rassegnarsi a ripopolare i propri uffici alla vecchia maniera pre-COVID.

Quello che è chiaro è che non si può tornare indietro: la strada per un nuovo modo di lavorare è stata tristemente tracciata da un virus, purtroppo non da una volontà manageriale.

Per stare in tema dei problemi emersi a livello tecnologico/infrastrutturale, la regola della domanda e dell’offerta non ha mai trovato applicazione migliore se non durante il periodo più pesante del COVID. Parliamo di webcam, la piccola telecamera ormai presente da anni in tutti i PC portatili posta anteriormente allo schermo utile per effettuare le video chiamate: ebbene, durante il lockdown quando le lezioni online di ogni ordine e grado sono diventate la normalità, tutti coloro che disponevano di un PC fisso da scrivania, hanno dovuto acquistare una webcam esterna per potersi far veder dal mondo.

Ebbene vi posso assicurare che arrivati ad un certo punto (verso la fine di aprile, prima settimana di maggio) questi ormai indispensabili accessori erano diventati introvabili. Alcuni brand famosi, per intenderci non di fabbricazione cinese, evidenziavano sui loro siti scorte esaurite. Ma su altri siti web italiani ho visto in vendita le stesse webcam “blasonate” al quadruplo del prezzo originale…è proprio vero che l’onestà non guarda in faccia a nessun virus.

Tornando all’argomento principale, essendo io uno psicologo di strada, non posso esimermi anche in questo caso dal fare la mia solita piccola analisi delle caratteristiche che genericamente (con le dovute eccezioni) contraddistinguono gli “smart-worker”.

Come già successo in alcuni capitoli precedenti, ho individuato alcune categorie specifiche dei lavoratori in remoto. Tipo 1) “Il digital”. È lo smart-worker giovane (generazione Y) una sorta di nativo digitale, che aspettava solo una occasione per realizzare il suo sogno di lavorare da casa in modo autorizzato e senza limitazioni. Già dotato di personal computer aziendale (e ovviamente anche personale) da sempre predisposto allo scopo, non ha subito traumi, anzi ci ha guadagnato in salute. Un grosso punto a favore del lavoro da casa viene ritenuto il non dover più fare il tragitto casa-ufficio, da sempre visto dai giovani come tempo di vita sprecato.

Il Tipo 2) “Il nostalgico”. È quel lavoratore che pur lavorando da anni con il supporto informatico, ma non essendo giovanissimo, sostiene che lo Smart è una cosa bella, ma che a lungo andare “fa perdere il contatto umano” con i colleghi. Per cui alla fine si è dovuto adeguare al sistema per necessità, ma se avesse la possibilità di ritornare in ufficio ogni tanto, non la riterrebbe una cosa così drammatica. Questa tipologia di lavoratori sarà quella che probabilmente trarrà beneficio delle nuove formule contrattuali che si delineano all’orizzonte tipo il 3x2 o il 2x3, rispettivamente tre gg di lavoro in presenza e due di Smart e viceversa.

Anche per “il nostalgico” vale il discorso del tragitto casa-ufficio: l’unica differenza sta nel fatto che non lo dirà mai per non farsi additare come anziano.

Il Tipo 3) “L’arcaico”. È il lavoratore più anziano di tutti: ritiene che lo Smart è stato utile durante la fase acuta della pandemia, ma che alla lunga non può assolutamente sostituire il lavoro tradizionale in ufficio (stile Rag. Fantozzi). Le motivazioni sono le più disparate: perché le video call non sono la stessa cosa che una riunione dal vivo, tenere i rapporti di amicizia vivi tramite la rete è impossibile, oppure che è tutta una scusa per aumentare le vendite dei PC e dei telefonini. Queste sono solo alcune delle ragioni che il “l’arcaico” mette sul tavolo quando si parla di smart-working. “L’arcaico” ha spesso come caratteristica principale, quella di lavorare da moltissimi anni sempre nella stessa azienda, per cui ha fatto dell’ufficio la sua “comfort zone”.

Volutamente non ho fatto alcun accenno alla questione della gestione familiare a seguito dello smart-working: indubbiamente chi ha figli o altri impegni familiari ripetitivi, magari cura di anziani o altro, indubbiamente lo Smart ha favorito o semplificato alcune di queste attività. Una volta ripresa la modalità di lavoro “tradizionale”, bisognerà fare i conti con il triste ritorno ad una realtà sicuramente più complicata e con orari molto più rigidi.

Attorno al magico mondo dello smart-working ci sono anche tutta una serie di verità che hanno un sapore di leggenda. La prima che mi viene in mente e che mi sento raccontare spesso, è quella che di colui o più spesso di colei che mi dice: “ah guarda Ale, non mi crederai, ma da quando lavoro in Smart lavoro il doppio di prima, senza tutti i rompi balle che ti disturbano ogni cinque minuti, lavoravo meno in ufficio”. Non me ne voglia il Caro Lettore, ma le domande (stupide e maligne) mi sorgono spontanee: vuoi dire che fino al lockdown per anni hai reso la metà pur essendo pagato/a uguale??(!). I rompiballe sono quindi i tuoi colleghi e/o i tuoi clienti? Se anche da casa usi gli stessi strumenti (e-mail, cellulare) vuol dire che non ti chiama/scrive più nessuno? Se davvero lavoravi meno in ufficio come mai non ci vuoi più tornare? Bah. Altra affermazione che sento di continuo: “ma lo sai Ale, che da quando sono in Smart non mi accorgo e smetto di lavorare alle 8 di sera?” Mi chiedo, addirittura il lavoro da casa ha il potere di farti perdere la cognizione del tempo? Lavori in una sorta di singolarità spazio-temporale? Ad ogni modo tutto questo mi porta a pensare che la questione del lavoro da remoto ha comunque portato dei cambiamenti nelle nostre vite. Mi auguro che le aziende andando avanti si organizzino al fine di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia.

Allo stesso tempo però, mi auguro che il prossimo salto tecnologico NON venga causato da un’altra pandemia, ma piuttosto da una presa di coscienza collettiva delle possibilità che l’innovazione ci mette a disposizione.

Come da tradizione Caro Lettore, prima di concludere volevo condividere con te una mia riflessione: diverse volte mi sono chiesto, ed ho cercato di immaginare, come si sarebbe evoluta la situazione se il COVID-19 fosse esploso non so, ad esempio 40 anni fa quando le reti di comunicazione ancora non esistevano. Come sarebbe stato affrontato il problema a parità di lockdown? Gli studenti come avrebbero fatto a seguire le lezioni? E le aziende come avrebbero fatto a mantenere il proprio business? Ti prometto che se riesco cercherò di approfondirlo in un prossimo capitolo della saga.



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